Le tele "nevicate" di Rinaudo

La fascinosa Saluzzo incornicia i paesaggi di Maurizio Rinaudo.

Ideata da Fabio Argenton, con il patrocinio della cittadina marchionale e l'intervento di realtà pubbliche e private, tra le quali Il Giornale del Piemonte  e La Stampa, la mostra che aprirà da sabato fino a tutto dicembre alla Korova Milk Art Gallery presenta una selezionata rassegna dedicata a Rinaudo, pittore, scultore e grafico autodidatta, di origini cuneesi, ma da tempo trapiantato a Osasco.

Un artista che ha uguale senso pittorico ben esercitato e aderenza alla realtà e alla linearità dei suoi vari mezzi espressivi.
Sono risultati atti a indicare la validità di quel ricreare mondi naturali, a esprimere la gioia del pittore, o dello scultore, e l'estasi, il meraviglioso che gli trasmettono il paesaggio o la figura.
Ascolta le voci misteriose della natura e risponde con le pennellate, o con gli interventi su ferro e bronzo, dopo aver racchiuso negli occhi uno scorcio di montagna, una distesa nevosa, i romantici angoli di città per lui fascinose.
Rinaudo opera con l'impegno di un uomo che sa prendere ogni cosa sul serio: gli accostamenti di colore, la prospettiva, l'atmosfera poetica, la luce.
Consciamente o inconsciamente richiama nomi e ritmi passati, ma di fronte alla tela immacolata esiste solo lui, il pittore delle cose del mondo, sempre disposto a esprimere il meraviglioso paesaggio, soprattutto quello piemontese.
La sua è un'arte magica che nasce dall'esplorare sentieri non battuti, affondando i piedi nella neve o sostando all'ombra degli alberi o delle case montane e che esprime tutta la riconoscenza per quegli artisti che ammira e che, a suo giudizio, gli hanno indicato la via giusta, lo sviluppo dell'arte a contatto con la natura.
Così, specie in pittura, i paesaggi di Rinaudo esprimono una ricerca dei caratteri delle cose in natura.
La natura e, nel suo caso, le nevi, gli alberi, le case, gli scorci del Saluzzese, del Pinerolese, delle amate Torino e Venezia può solo diventare oggetto di rappresentazione artistica. E quando si intuisce il suo modo di articolare, solo allora si entra coscientemente nell'opera: un'opera colma di nuovo e autentico pathos, di rappresentazione di un mondo recuperato. Perché Rinaudo non si è fermato con occhio compiaciuto e acritico a una matrice ben definita e accarezzata, ma ha dato modo alla sua calda tavolozza di assecondare sia i propri desideri di evasione in atmosfere soffuse di liricità, sia l'attento studio dei momenti di evoluzione del suo linguaggio. Un linguaggio che, certo, si è avvalso della grande scuola degli impressionisti.
Nelle sue tele vivono gli spazi immensi, le profondità, i toni, le pennellate larghe e copiose, un cromatismo soffice e vellutato.
I soggetti che egli ritrae spaziano tra le verdi valli, i monti svettanti, i fiumi argentati, campagne e case calde e piene d'amore.
E anche dove non compare la figura l'autore ripropone l'ambiente naturale dell'uomo considerando l'uomo.
Egli non ritiene assolutamente necessario ricorrere a esperimenti d'avanguardia e rifugge perciò da ogni genere di stravaganza.
Ritrae il vero, lo osserva e filtra per fissarlo, en plein air, in forme dai poetici accordi cromatici che restituiscono tutte le emozioni che la natura emana.
Ma è nel trattare la neve che Rinaudo si distingue da molti altri paesaggisti contemporanei e ricorda la lezione impressionista. “La neve di che colore è?”, chiedevano ai propri allievi gli artisti della grande stagione pittorica dell'800 francese.
Una domanda ingenua per un pittore rispetto ai colori che impiega al fine di ottenere l'effetto neve. Una neve che cade e una neve che si sgela sono sempre neve,ma non la stessa cosa. Infatti, per chi abbia visto alcuni quadri di Monet, la neve viene cercata nelle situazioni dove c'è solo questa, come in Norvegia o nei paesaggi della Senna dove abitava.
Per chi osserva invece le nevi di Rinaudo non è difficile notare che, nella sua pittura, il fondo della tela e il gioco dei colori, dei bianchi freddi, grigi e azzurri diventano un paesaggio velato ma concreto.
La neve dipinta si rivela così una sensazione iù che una percezione, data la sua immaterialità, che prende corpo da quello che sta sotto e resta sotto, affiorando soltanto con qualche segno di una forma in superficie apparentemente astratta. La tela bianca, già tutta “nevicata”, accoglie via via il possibile e lento disgelo del segni che è il lento affioramento di ciò che sta sotto al manto di neve ed è rimasto intrappolato, oppure ciò che galleggia frammentariamente sopra, come le linee di un alfabeto in formazione, ma sempre decifrabile. Ed è osservando questi lavori che ci si sente risucchiati dal dipinto e vi troviamo l'autore che, da sempre, supera un sentire e un esprimere che lo hanno portato a essere tra i più ricercati da un collezionismo ancora teso al gusto del bello e del leggibile.

Prof. Giorgio Barberis